La tecnologia, la prima protesi per la mente
Oggi è possibile collegare il nostro cervello a una macchina esterna perché attivi i compiti
La tecnologia digitale è la prima protesi della mente. Oggi è possibile connettere direttamente il nostro cervello ad una macchina esterna perché questa attivi compiti, per esempio di tipo motorio, altrimenti impossibili a causa di una lesione cerebrale.
Pur con molte difficoltà ed approcci complicati è questa una delle frontiere verso cui sta muovendo la neuroingegneria.
Alla base di queste ricerche, per ora ancora sperimentali, vi è l‘idea che la funzione dei circuiti cerebrali e/o dei centri cerebrali lesionati e disfunzionanti potrebbero essere sostituiti da altre parti del cervello integre: particolari dispositivi posizionati in situ possono raccogliere i segnali generati dalla corteccia cerebrale,elaborarli, per poi inviarli perifericamente alle strutture che generano l’atto motorio anche attraverso utilizzo di protesi che agiscono perifericamente, a questo punto la periferia è di fatto nuovamente connessa.Al momento l’obiettivo è stato raggiunto solo in parte con risultati incoraggianti ma non del tutto risolutivi.La sfida continua
Disponiamo comunque di protesi neuro robotizzate che agiscono a livello periferico in grado di supportare e di aiutare i movimenti andati perduti o deficitari; in questo caso si tratta di dispositivi anche indossabili che, agendo non a livello centrale ma periferico, permettono di migliorare i movimenti.
Questi dispositivi sono ancora da perfezionare e non sostituiscono ma integrano la riabilitazione.
La disabilità resta ma è comunque attenuata anche se siamo ancora lontani da quanto legittimamente si aspettano le persone ei loro familiari. Bisogna tenere conto che riprendere a camminare rimane una delle cose che le persone con lesioni cerebrali desiderano di più.
Scheda su Computer Ethics ovvero Neurobotica e Relazione Umana
“Dobbiamo difenderci dall’uomo, non dalla macchina!”
Cosi ha recentemente dichiarato Federico Faggin, fisico, inventore già capo progetto dell’Intel 4004 e responsabile dello sviluppo dei microprocessori e dei sistemi definiti intelligenze artificiali -IA.
Lo sviluppo travolgente dell I.A. porta infatti a interrogarsi per capire se l’utilizzo di tali sistemi, che rimangono comunque delle macchine, non possa sfuggirci di mano con conseguenze inimmaginabili ed estremamente preoccupanti.
Nello scenario attuale stanno diffondendosi sempre piùsofisticate macchine, quali ad esempio robot killer e sistemi automatici di guida,che possono trovarsi coinvolte in delicati processi decisionali.
È quindi inevitabile domandarsi se gli algoritmi che controllano queste macchine possano decidere autonomamente a chi sparare o quale comportamento tenere quando si tratta di scegliere a chi salvare la vita in situazioni imprevedibili
Fortunatamente la risposta,almeno al momento,è negativa: le macchine, per quanto dotate dipotente memoria e di velocità di calcolo superiori a quella umana,non sono ancora in grado di decidere come farebbe un cervello:sono in difficoltà a svolgere più compiti contemporaneamente ein particolare non riescono a coniugare i correlati emozionali affettivi morali delle azioni come fanno invece le vere intelligenze di “carne”.
La macchina, al momento,rimane una mera esecutrice di quanto programmato da un uomo.
E questo è il cuore del problema: chi programma le macchine e ancor più chi le programmerà in futuro dovrà programmarle per l’uomo e non contro l’uomo,secondo le regole della computer ethics
segnalato da ornella torre